Vi siete mai chiesti cosa accadrebbe se chiudesse uno studio di Consulenza del Lavoro nell’era Covid? Vediamolo insieme…
Abbiamo visto in questi due anni mettere in evidenza le criticità di ogni settore, da quello privato a quello pubblico, nella gestione dell’emergenza pandemica.
Non ci è mai capitato di leggere, se non da qualche recensione di sfogo o di appello di qualche Gruppo di Consulenti, che qualcuno si sia posto il problema di cosa accadrebbe (e magari può essere accaduto ma nel pieno anonimato) se si fermasse o se si chiudesse uno Studio di Consulenza del Lavoro per effetto di un contagio al suo interno: sarebbe possibile dire ai clienti o agli enti che questo mese non si riescono a rispettare le scadenze perché lo studio ed i suoi collaboratori sono contagiati? Una vera follia, non è così?
Il paradosso è che spesso gli stessi consulenti sono stati contagiati proprio a causa della partecipazione a riunioni e briefing con i propri clienti (magari clienti no vax perché sì, sono clienti anche loro e vanno trattati come tali!) se non addirittura andando in giro presso gli enti a disbrigare le pratiche quotidiane.
E bene, quali ripercussioni ci sarebbero?
Niente buste paga, niente F24, niente Uniemens, niente adempimenti di collocamento, niente CIG-Covid: black out totale per almeno 10-15 giorni.
Com’è possibile affrontare una situazione simile senza conseguenze o danni? Qualcuno se lo è chiesto? Rispondiamo noi, no! Nessuno.
E non è una questione di ristori, per quelli siamo abituati a non essere presi in considerazione, non c’è mai stato un finanziamento o un investimento in favore di uno studio professionale.
Parliamo di sistema, di organizzazione, di soluzioni che dal mondo delle istituzioni, del governo tecnico o politico che sia, non sono mai state minimamente messe in atto, probabilmente neanche pensate.
L’idea di poter mettere uno studio in condizione di sospendere gli adempimenti per il solo tempo necessario a tornare operativi senza rischiare di far prendere sanzioni o commettere presunte evasioni ai propri clienti: una formula semplice, blindata e non elusiva che nessuno ha mai nemmeno ipotizzato.
E non è un problema di categoria, non siamo noi che dobbiamo prevedere paracaduti o soluzioni su una pandemia di natura planetaria, è una forma di considerazione e di rispetto che ci deve venire dall’esterno, ci deve essere perché sia riconosciuto il nostro ruolo sociale, un ruolo – di fatto – fondamentale.
L’Inps e l’Inail hanno chiuso le porte, si sono blindati dentro le loro cattedrali ed hanno, in alcuni casi, sospeso, ritardato o rinviato le proprie incombenze.
E il Consulente del Lavoro? Lui no, non può, anzi, non deve! Nemmeno quando è impossibilitato da un evento di carattere nazionale.
Abbiamo vissuto una roulette russa in questi due anni, schivando la pallottola del Covid o cercando di prendercela a scacchiera in modo che qualcuno potesse essere presente per assolvere ai propri doveri, facendosi carico anche delle incombenze di chi era evidentemente impossibilitato dalla malattia.
Persino le vaccinazioni sono state programmate in maniera subordinata all’eventualità di sintomi post-vaccinali del collaboratore o della collaboratrice: siamo stati costretti a far sì che più collaboratori non si vaccinassero contemporaneamente, ognuno ha dovuto aspettare il suo turno, sempre per non gravare sul lavoro dello studio professionale, con evidente esposizione a rischio della propria salute. Una situazione dura, difficilmente considerabile come prassi.
Il Covid ha tolto a tutti noi una parte di vita, ma il sistema Paese ci ha tolto serenità e dignità!
Voi cosa ne pensate?
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